martedì 9 aprile 2013



Riprendiamoci il tempo di cucinare……..


Coltivare e cucinare per noi stessi e per gli altri deve ritornare ad essere una delle attività fondamentali della nostra giornata perché è fonte di vita e salute. Sempre più la gente acquista prodotti già pronti, gonfi di sofisticazioni che oramai sono state identificate come fonte certa di numerose malattie della nostra società. Riprendiamoci il tempo, il tempo di cucinare.
Sul numero di dicembre 2012 di Slow Food Magazine leggo una interessante intervista all’antropologo Alberto Salza che cita dei dati allarmanti del nostro pianeta: 830 milioni di persone sono denutrite e 1,3 miliardi sono sovrappeso!
“Quando incontri un amico lo inviti a bere o a mangiare qualche cosa insieme, se vuoi conquistare una donna di solito la inviti a cena;  la strategia mangereccia è diffusa in tutte le culture del mondo. La verità è che ovunque tu vada il cibo è un dono….” sostiene Salza.




Risotto al finocchio ( ricetta tratta da "Superpiccante" edito da De Agostini))
Ingredienti:
250 gr riso 
100 gr di ricotta freschissima 
1 o 2 finocchi
1 l di brodo vegetale
olio extravergine di oliva q b
pepe q b
1 cucchiaio di di semi di finocchio
1 scalogno
Peperoncino qb
½  limone
burro q b
alloro q b
vino bianco q b
aneto q b

Lavate e tagliate a pezzeti i finocchi, metteteli in una casseruola con un goccio di olio, un cucchiaio di semi di finocchio e un paio di cucchiai di acqua, coprite e lasciateli sul fuoco lento fino a quando i finocchi non saranno ben cotti. A questo punto potete passarli nel mixer così da ottenere una purea.
Tritate uno scalogno molto finemente, mettetelo in una casseruola con un filo d’olio e una foglia di alloro, soffriggete e successivamente aggiungete il riso, tostatelo e sfumate con mezzo bicchiere di vino bianco.
Man mano aggiungete il brodo caldo nel riso e girate delicatamente con un mestolo di legno. Quando il riso sarà cotto al dente, potete aggiungere una noce di burro, la ricotta, il succo di mezzo limone, il pepe, un pizzico di sale, un filo d’olio, una spolverata di peperoncino e mantecate ancora per un paio di minuti. Decorate con aneto.




Non ho letto il libro di Karen Blixen, che probabilmente come spesso accade è meglio del film, ma consiglio di recuperare “Il pranzo di Babette” del 1987 del regista Gabriel Axel, per godere del lato estetico del cucinare. Sembra proprio di assaporare insieme agli altri commensali le delizie preparate da Babette.

Siamo quasi a metà aprile ma non inizia ancora la vera stagione, quella dove nei campi di montagna si fa veramente fatica! Rastrellare foglie e paglia messe in autunno sul piede di rose e di aromatiche perenni è tutto quello che posso fare visto che c’è ancora neve in giro a macchie di leopardo.
Chissà come andrà questa estate dal punto di vista aiutanti…ogni tanto ospito dei ragazzi dell’associazione Wwoof  (World Wide Opportunities on Organic Farms) www.wwoof.it , un eterogeneo pianeta di giovani e non più giovani provenienti da tutto il mondo che aiuta nel lavoro agricolo in cambio di vitto e alloggio. E’ in teoria una bellissima esperienza di scambio di cultura e coltura ma in pratica spesso si rivela poco costruttiva perché chi si propone come aiutante non ha la ben che minima idea di cosa significa il lavoro della terra.
L’uomo di capagna infatti, diventato recentemente uomo di città, ha una visione della natura non più utilitaristica di puro sfruttamento, ma del tutto romantica.
Sicuramente difficile è la posizione di chi si ritiene come me un “giardiniere” per passione, un piccolo custode di qualche fazzoletto di terra che non genera reddito monetario e che quindi di solito non viene considerato perchè l’autoproduzione, secondo l’opinione comune, non è lavoro.
Questo concetto assurdo mi riporta alla filosofia di Gandhi e al suo “Villaggio e autonomia” edito dalla Libreria Editrice Fiorentina nel quale sostiene l’autosufficienza e vede con lungimiranza i danni prodotti da una eccessiva meccanizzazione e dall’assenza di fatica fisica.




Henry D. Thoreau, filosofo americano (1817 – 1862), scrive alla metà del XIX secolo:
”…i molto ricchi non si accontentano di vivere in un ambiente caldo, vogliono che esso sia esageratamente riscaldato, si cuociono naturalmente à la mode. Molti lussi e molte delle cosidette comodità della vita sono non solo inutili  ma addirittura costituiscono effettivi intralci alla elevazione dell’uomo. I più saggi hanno sempre condotto vita più semplice….”
Pensavo che questa sorta di anomalia fosse più recente, legata al dopoguerra con l’avvento del mito industriale e dello stile americano, invece Thoreau la denunciava già nel suo “Walden ovvero vita nei boschi” edito dalla BUR.




Gli uomini  moderni sono molto preoccupati di non poter dominare l’incontrollabile, la forza della natura e quando fa un po’ più freddo, quando piove troppo o quando si rimane isolati per una nevicata abbondante, entrano in crisi.

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