Riprendiamoci il tempo di cucinare……..
Coltivare e cucinare per noi stessi e per gli altri deve
ritornare ad essere una delle attività fondamentali della nostra giornata
perché è fonte di vita e salute. Sempre più la gente acquista prodotti già
pronti, gonfi di sofisticazioni che oramai sono state identificate come fonte
certa di numerose malattie della nostra società. Riprendiamoci il tempo, il
tempo di cucinare.
Sul numero di dicembre 2012 di Slow Food Magazine leggo una
interessante intervista all’antropologo Alberto Salza che cita dei dati
allarmanti del nostro pianeta: 830 milioni di persone sono denutrite e 1,3
miliardi sono sovrappeso!
“Quando incontri un amico lo inviti a bere o a mangiare
qualche cosa insieme, se vuoi conquistare una donna di solito la inviti a cena;
la strategia mangereccia è diffusa in
tutte le culture del mondo. La verità è che ovunque tu vada il cibo è un
dono….” sostiene Salza.
Risotto al finocchio ( ricetta tratta da "Superpiccante" edito da De Agostini))
Ingredienti:
250 gr riso
100 gr di ricotta freschissima
1 o 2 finocchi
1 l di brodo vegetale
olio extravergine di oliva q b
pepe q b
1 cucchiaio di di semi di finocchio
1 scalogno
Peperoncino qb
½ limone
burro q b
alloro q b
vino bianco q b
aneto q b
Lavate e tagliate a pezzeti i finocchi, metteteli in una
casseruola con un goccio di olio, un cucchiaio di semi di finocchio e un paio
di cucchiai di acqua, coprite e lasciateli sul fuoco lento fino a quando i
finocchi non saranno ben cotti. A questo punto potete passarli nel mixer così
da ottenere una purea.
Tritate uno scalogno molto finemente, mettetelo in una
casseruola con un filo d’olio e una foglia di alloro, soffriggete e
successivamente aggiungete il riso, tostatelo e sfumate con mezzo bicchiere di
vino bianco.
Man mano aggiungete il brodo caldo nel riso e girate delicatamente
con un mestolo di legno. Quando il riso sarà cotto al dente, potete aggiungere
una noce di burro, la ricotta, il succo di mezzo limone, il pepe, un pizzico di
sale, un filo d’olio, una spolverata di peperoncino e mantecate ancora per un
paio di minuti. Decorate con aneto.
Non ho letto il libro di Karen Blixen, che probabilmente come spesso accade è meglio del film, ma consiglio di recuperare “Il pranzo di Babette” del 1987 del regista Gabriel Axel, per godere del lato estetico del cucinare. Sembra proprio di assaporare insieme agli altri commensali le delizie preparate da Babette.
Siamo quasi a metà aprile ma non inizia ancora la vera
stagione, quella dove nei campi di montagna si fa veramente fatica! Rastrellare
foglie e paglia messe in autunno sul piede di rose e di aromatiche perenni è
tutto quello che posso fare visto che c’è ancora neve in giro a macchie di
leopardo.
Chissà come andrà questa estate dal punto di vista aiutanti…ogni
tanto ospito dei ragazzi dell’associazione Wwoof (World Wide Opportunities on Organic Farms) www.wwoof.it , un eterogeneo pianeta di giovani
e non più giovani provenienti da tutto il mondo che aiuta nel lavoro agricolo in
cambio di vitto e alloggio. E’ in teoria una bellissima esperienza di scambio
di cultura e coltura ma in pratica spesso si rivela poco costruttiva perché chi
si propone come aiutante non ha la ben che minima idea di cosa significa il
lavoro della terra.
L’uomo di capagna infatti, diventato recentemente uomo di
città, ha una visione della natura non più utilitaristica di puro sfruttamento,
ma del tutto romantica.
Sicuramente difficile è la posizione di chi si ritiene come
me un “giardiniere” per passione, un piccolo custode di qualche fazzoletto di
terra che non genera reddito monetario e che quindi di solito non viene
considerato perchè l’autoproduzione, secondo l’opinione comune, non è lavoro.
Questo concetto assurdo mi riporta alla filosofia di Gandhi e
al suo “Villaggio e autonomia” edito dalla Libreria Editrice Fiorentina nel
quale sostiene l’autosufficienza e vede con lungimiranza i danni prodotti da
una eccessiva meccanizzazione e dall’assenza di fatica fisica.
Henry D. Thoreau, filosofo americano (1817 – 1862), scrive
alla metà del XIX secolo:
Pensavo che questa sorta di anomalia fosse più recente,
legata al dopoguerra con l’avvento del mito industriale e dello stile
americano, invece Thoreau la denunciava già nel suo “Walden ovvero vita nei
boschi” edito dalla BUR.
Gli uomini moderni
sono molto preoccupati di non poter dominare l’incontrollabile, la forza della
natura e quando fa un po’ più freddo, quando piove troppo o quando si rimane
isolati per una nevicata abbondante, entrano in crisi.
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